Alcune considerazioni sull’articolo 18

Sono convinto del fatto che un imprenditore non debba schierarsi politicamente verso questo o quel partito, un pò per non finire nel tritacarne della politica da stadio (sei tifoso di questa o quella squadra, sei tifoso di questo o quel partito); credo, piuttosto, che un imprenditore debba cercare di essere super partes e, per quanto possa sembrare strano ai più, credo anche che debba cercare di tenere la barra dritta avendo sempre rispetto delle persone che lavorano nella sua azienda.

Fatta questa premessa, vengo al sodo.

Dopo aver parlato per mesi di nulla ed aver quindi spostato l’attenzione mediatica verso altri aspetti, poco rilevanti peraltro, da qualche giorno si è tornati a parlare della parolina magica “lavoro” (non ricordo nemmeno più se era in agenda o se è stato intavolato così, dall’oggi al domani).

E’ evidente che in tutto questo discorso non si sta spiegando alla massa cosa implica veramente l’articolo 18 per un imprenditore e per un lavoratore, quali sono i vantaggi e svantaggi della sua presenza e soprattutto qual è la storia che ha portato alla sua creazione. Si è detto che la sua abolizione servirà per creare nuovi posti di lavoro, anche se non capisce con che tempistiche e con quali modalità.

Sono invece convinto del fatto che la modifica che vogliono attuare all’articolo 18 sia non solo stupida, ma soprattutto inutile e molto lungimirante nel favorire, evidentemente, gli imprenditori delle grandi aziende (Marchionne, durante un’intervista televisiva, era felicissimo dell’approccio di Renzi).

Aver precarizzato il mondo del lavoro tra contratti a progetto delle più svariate forme, aver forzato i giovani ad aprire la partita IVA sotto la pia illusione di diventare “free-lance” per poi lavorare come dipendenti nelle aziende, dopo aver tolto qualsiasi dignità al lavoratore ed aver parlato di flessibilità siamo arrivati al punto in cui, grazie all’abolizione dell’articolo 18, le aziende potranno levarsi dal groppone tutti quegli over50 che costano sicuramente di più di quanto non costi un giovane neo-assunto disposto a lavorare di più, fuori orario senza straordinario, ma soprattutto disposto a lavorare sottopagato.

Il problema di noi imprenditori, lo dico chiaro, netto è doppio: da un lato la burocrazia (di cui parlerò prossimamente portando un esempio pratico), dall’altro le banche. Non è pensabile dover firmare tonnellate di carte per aprire un conto in banca, sottoscrivere una polizza assicurativa, piuttosto che perdere mesi (se non anni) per chiedere un fido o un prestito. Esiste una legge sulle startup innovative, questa legge afferma che queste particolari società hanno un Fondo di Garanzia messo a disposizione – in Banca IntesaSan Paolo a Roma nessuno ne sa nulla il che vuol dire, che ho perso 14 mesi della mia vita per avere l’attestazione e per un imprenditore, 14 mesi per portare a termine un progetto di questo tipo sono una follìa (aziendalmente parlando)