Martin Fowler , per chi non lo sapesse , è un ingegnere del software e tra le massime autorità in materia a livello mondiale. Oltre che, piccolo “dettaglio”, è uno dei padri dell’extreme programming e tra gli autori del Manifesto Agile. Insomma, tanta roba 🙂
Ho sempre ammirato Martin e seguito con grande attenzione e dedizione ogni suo singolo scritto, come l’ultimo articolo dove tratta dell’efficienza ed efficacia del lavoro da remoto, paragonato al lavoro all’interno dell’ufficio fisico.
Se non sei interessato ad approfondire l’articolo, che puoi reperire qui “Remote versus Co-located Work” – ne farò una sintesi qui di seguito, per poi fornire la mia esperienza di (quasi) 4 anni di Evermind.
Diversi approcci al lavoro in team
Esistono diverse modalità lavorative, non distinguibili solo in lavoro da remoto e lavoro in ufficio. Martin suggerisce questa divisione:
- Team single-site: è quel team che lavora all’interno della stessa sede fisica, gomito a gomito, ed è la modalità con la più alta efficacia per la comunicazione interna;
- Team multi-site: è quella particolare situazione in cui il team è suddiviso in due, o più, entità di minore numerosità che interagiscono tra di loro all’interno di un progetto unico;
- Satellite workers: è quella particolare situazione in cui il team principale lavora nella stessa sede fisica, collaborando con una costellazione di lavoratori da remoto;
- Remote first: è quella situazione in cui ogni componente del team è dislocata geograficamente in posti diversi, remoti, solitamente da casa, e dove la maggior parte della comunicazione interna avviene online. La maggior parte dei progetti open-source sono stati sviluppati con questo approccio
Comunicazione e produttività
Uno dei passaggi che più mi ha colpito del pezzo di Martin è quando scrive:
The reason for this is the ease of communication. While tools like (video) chat, screen sharing, and the like have done much to make remote work easier, there is still nothing as effective as being able to turn around, see the person you want to talk to, and just be able to speak. Co-location also introduces a huge amount of out-of-band conversations which improves personal relationships. The result is a virtuous cycle of improved relationships and communication. Since communication is such a central part of software development, this is a big impact on productivity.
Può sembrare scontato, magari per alcuni lo sarà, però comprendere appieno questo passaggio e rapportarlo all’attuale situazione lavorativa , soprattutto in Italia, deve farci riflettere sulla qualità del codice, quindi del prodotto, che viene rilasciato dalle centinaia di aziende che quotidianamente lavorano sul web o, più in generale, come software house pure.
Evermind
In Evermind, la co-agency della quale sono uno dei fondatori, nata nel 2011, ha vissuto e sta vivendo un percorso particolare. Fin dall’inizio, abbiamo incentrato il cuore pulsante dell’azienda su di un network di professionisti, con l’idea che ognuno di loro potesse, pur nella loro autonomia personale e professionale, lavorare in gruppo per offrire migliori servizi (e più strutturati) sullo specifico mercato con cui ha una stretta relazione.
A distanza di 4 anni siamo ancora vivi, vegeti e profittevoli, per cui certamente il meccanismo funziona, seppur con grande fatica. Meccanismo che, rifacendomi alle parole di Martin, segue la modalità Remote first.
Durante il percorso siamo entrati in contatto con centinaia di professionisti, dal livello e skills delle più variegate possibili; certamente, almeno per me, è stato illuminante partecipare al corso di Biagio Tramontana, dove ho ho trovato la quadratura del cerchio di tante esperienze lavorative come PM.
Questo ci porta, oggi, ad apportare un cambiamento di business, passando dalla modalità Remote First verso quella Satellite workers, dove la nostra sede principale (operativa) sarà quella di Reggio Calabria. Il motivo di questo cambiamento è molteplice e trova le sue radici in tanti fattori, in primis la volontà di creare una realtà strutturata sul territorio dal quale proveniamo.
Ma, creazione di valore a parte, ragioniamo in termini aziendali classici: la prima ragione di questa scelta risiede nella qualità della produzione e della comunicazione e nella constatazione che non tutti i professionisti sono naturalmente e concettualmente in grado di gestire e lavorare su progetti completamente remotizzati (passatemi il termine). Non ultimo, fare da PM su progetti con un team così dislocato è un’attività parecchio impegnativa, che tende a squilibrare la disciplina, spostando l’ago della bilancia verso il processo di comunicazione.
Ed è proprio questo il tassello che mi vede convinto di questa scelta, anche alla luce di quanto leggo nell’articolo di Martin: la comunicazione è il tassello fondamentale per il corretto raggiungimento di un obiettivo progettuale. Se non si riesce a gestire correttamente questo processo, inevitabilmente si sforano i tempi, si perde di efficacia ed efficienza nella gestione del progetto e, conseguentemente, si tende a far aumentare il costo di progetto.
Non ci sono tool e strumenti che tengano (skype, google drive, dropbox) che restano, appunto strumenti; lavorare da remoto è un’attività bella, affascinante, ma dispendiosa e, inevitabilmente, molto pericolosa in termini di attenzione al go-live.
(thx to Domenico Guinea per l’immagine)